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Presentato “L’uomo nero” di Francesco Foti
Il singolo del cantautore siciliano anticipa l’imminente album d’esordio.
(ASI) Presentato il 17 luglio 2013, nell’incantevole cornice della Pinacoteca-Biblioteca di Piazza Mangelli, a Catania, “L’uomo nero” vibrante singolo del cantautore siciliano Francesco Foti (edizioni ROS Group di Rossano Eleuteri) che anticipa l’imminente album d’esordio. La drammatica tematica della pedofilia viene affrontata da Francesco Foti con soave quanto incisiva delicatezza. “Il brano - spiega Francesco Foti -, nasce come una dolce ninna nanna con la parola “nero” che salta qua e là tra le sue note. Pensando ai diritti dell’uomo e nello specifico a quelli dei bambini che sono sempre vittime innocenti. La “fusione” di parole e musica è stata un’alchimia incredibile, ho buttato tutto giù di getto senza fermarmi, limando solo pochissimo in seguito il testo. Il risultato è molto equilibrato ed efficace, e ritengo che la canzone mantenga una sua aura fiabesca nonostante la tematica trattata sia molto cruda. L’arrangiamento curato da Rossano Eleuteri ha conferito al tutto una morbidezza e un’atmosfera da sogno”.

Il singolo è acquistabile su iTunes e nelle migliori piattaforme dedicate. Moderati dalla giornalista Grazia Calanna che ha intervistato pubblicamente il cantautore Francesco Foti, sono intervenuti Mario Grasso (Direttore di Lunarionuovo), Luigi Carotenuto (Poeta e Critico Letterario) e Nello Pappalardo (Giornalista e Critico Musicale). Per completezza d’informazione riportiamo di seguito i rispettivi interventi nella versione integrale.

Luigi Carotenuto - Con “L'uomo nero” Francesco Foti compone la sua personale Fuga, un pezzo dal climax teso e dai toni delicati. Parla all’immaginario collettivo attraverso il linguaggio simbolico per eccellenza, quello della fiaba. Ci parla di un tema tabù, dove cala spesso l’horror vacui del silenzio, l’interdizione di chi si accosta. Attorno alla violenza sui minori non è riuscita ad attecchire nessuna retorica, come accade per la violenza organizzata delle guerre, giustificata e premiata dalle commemorazioni. La violenza ai bambini viola i limiti, il confine “sacro” anche per i laici e i senza dio, viola l’inviolabile. Cancella l’identità di vite in fieri, personalità in costruzione segnate senza scampo da un gesto nero come una lavagna. I due colori appunto, bianco e nero, i due estremi simbolici agli antipodi (i quali però si richiamano l’un l’altro) ingaggiano questo astratto corpo a corpo. Pochi cenni e un’evocazione indiretta riescono a entrarci nel cuore senza il furore accecante dell’indignazione... Si potrebbe immaginare che “L’uomo nero / senza volto intero” sia stato a sua volta vittima di un altro “uomo nero” che lo ha segnato, come accade in tanti casi, in cui la coazione a ripetere è l’unica modalità, insana, conosciuta dalla vittima che si fa carnefice. Ma la canzone invita anche a specchiarci, come non succede quando ci dissociamo dai peggiori fatti di cronaca, reagendo d’impulso contro gli autori dei delitti, invocando per loro le peggiori pene in maniera fanatica come un processo alle streghe. Ciò che repelle è il lato oscuro che certo ci appartiene, anche se lo ignoriamo. Il testo di Francesco Foti, riesce, attraverso la voce, dal desiderio “candido” del bambino, con quel suo “Uomo nero / vorrei tu fossi bianco / come la fata delle nevi” a muoverci a pietà, con pathos, attraverso l’empatia che manca in un mondo alienato dai sentimenti e mediaticamente istruito all’indifferenza, invitandoci a costruire un mondo meno freddo, dove il calore sociale potrebbe prevenire gesti dopo difficilmente sanabili.

Nello Pappalardo - Conosco bene Francesco per aver ascoltato il suo “L’uomo nero”. Considero il primo impatto sempre utile e spesso determinante. La sua canzone mi ha dato delle immagini estremamente positive, anche per motivi generazionali, poiché la “canzone d’autore” è stata, potrei dire, la colonna sonora della mia vita; nutriamo quindi un certo trasporto, un sentimento d’amore verso questa, fin da quando eravamo ragazzini. Francesco s’inquadra perfettamente nel constesto della canzone d’autore che prevede il trasferire quella che una volta si chiamava “canzonetta”, termine purtroppo usato dai più come dispregiativo, in un ambito che non è quello della poesia, ma è quello del prodotto artistico che attraverso un particolare connubio tra parole e ritmo musicale suscita determinate emozioni e sensazioni. Francesco Foti riporta la canzone d’autore alla matrice originaria: ho pensato immediatamente a quella semplicità, poiché si tratta sì di una ninnananna, ma anche di una fiaba nella quale il personaggio dell’uomo nero non è più motivo di paura, ma viene esorcizzato dal modo di cantare dolcissimo che è di Francesco. Mi piace rintracciare dei riferimenti trovandoli solo con uno dei cantautori “minori” dei miei tempi, in cui c’era una sorta di repulsione per le canzoni che non fossero particolarmente impegnate: c’era Bob Dylan, il cantautore di riferimento dei miei coetanei, e poi c’era un cantautore che forse trascuravamo perché apparentemente più semplice e dolce, mi riferisco a Donovan Phillips Leitch, cantautore che ha avuto una grandissima importanza, seppur meno conosciuto di altri. In Francesco ritrovo la stessa dolcezza, potenza ed estensione vocale di Donovan Phillips Leitch, in un momento in cui pare sia più importante, non tanto avere la voce, quanto “urlare”: mi riferisco ai prodotti di talent show. Non ho pudori, quindi, a differenza di alcuni, a dare alla “canzonetta” una dignità letteraria. Abbiamo avuto come riferimento Umberto Eco che nel ’64 ha “sdoganato” il fumetto, la canzonetta, la letteratura popolare, dando loro quella dignità necessaria affinchè non venissero più considerati prodotti minori. Anch’io, quando mi rivolgo a questo tipo di prodotto, tendo ad issare una bandiera. È in questa temperie che inquadro Francesco Foti. Aggiungo che non starò nella pelle fino a quando non uscirà l’album perché viste le premesse sono sicuro che le canzoni che ne faranno parte saranno di un certo spessore. Lo dico sia da appassionato di canzone d’autore, sia perché considero “L’uomo nero” tra le cose migliori che possano essere state concepite in ambito letterario, ci metto De Andrè, Paolo Conte, che sono artisti che non si fermano alla dimensione palcoscenico-festivaliero, ma vanno molto al di là; ci metto gli chansonnier francesi, quali Léo Ferré che negli anni ’60-’70 ritengo non avvesse niente da invidiare a grandi letterati. Ho voluto scomodare questo ambito della canzone d’autore perché ritengo che Francesco Foti abbia le carte in regola per poterne far parte. Anche il suo approccio con la macchina da scrivere, la Olivetti Lettera 44, mi sembra “rivoluzionario”; ritengo che le cose rivoluzionarie siano le più immediate, le più semplici. Per rifarmi agli autori di quand’ero giovane, considero un testo altamente rivoluzionario quello di Luigi Tenco, uno dei più grandi cantautori italiani, cito: “mi sono innamorato di te / perché non avevo niente da fare”; apparentemente semplice e banale, è invece un “atto rivoluzionario” se commisurato alla proposta musicale che proveniva dai Festival di Sanremo e dai Cantagiro. Il mio augurio, fatto a Francesco Foti, ma indirettamente fatto a noi ascoltatori, è che al più presto si possa ascoltare l’intero album all’interno del quale ci saranno sicuramente splendide fiabe di cui “L’uomo nero” è un primo assaggio.

Mario Grasso - Dire bene di Francesco, dato che lo conosco da più di un decennio, sarebbe un surplus. L’utilizzo della macchina da scrivere, da parte di Francesco, mi ha fatto pensare a: “La Polacca”, le cannonate di Napoleone che si ripetono nel rollìo di ottave, Strauss andando con il cocchiere in carrozza, i passi del cavallo e lo schioccare della frusta nei suoi valzer. Se Newton fosse nato in una taverna di ladri albanesi, non si sarebbe occupato di gravitazione universale, ma essendo inventore nell’animo, avrebbe comunque inventanto un nuovo tipo di grimaldello. Elogio il fatto che Francesco abbia scritto “L’uomo nero” in un momento particolare, attingendo da quello che era uno dei temi più attuali e sentiti (e purtroppo del resto lo è tuttora), come quello della pedofilia. Questa influenza inconscia di temi “scottanti” che saltano alla ribalta attraverso i media, ma anche il semplice ritorvarsi a parlarne, si tramutano nelle sue parole e musica, come nel caso de “L’amore è amore” (cfr. collaborazione con Alessandro Canino), scritta sull’onda della spinta rivoluzionaria che vede affermarsi la coppia omosessuale nella nostra società come “normalità”, nonostante i nostri antenati ci avessero già preceduto, mi riferisco ai greci. Sottolineo come spesso uno dei mali della nostra società “ironicamente” siano “il sapere” ed “il pensare” insieme. Francesco è una mina vagante, potrebbe esplodere in qualsiasi momento e nello stesso tempo rinnovarsi in qualsiasi pezzo resti di lui, che vive singolarmente di vita propria. Francesco è, come ciascuno di noi, una entità irripetibile, e nella sua irripetibilità ha le caratteristiche che lo portano oggi qui ad essere festeggiato, ma festeggiato scaramanticamente, senza completare il quadro, non ponendo limiti al futuro. Mi auguro di poterlo presto applaudire altrove, in uno dei luoghi preferiti dei miei viaggi, quali Mosca, Parigi, Berlino, lasciando un segno duraturo nell’arte che è qualcosa di intramontabile.

Biografia Francesco Foti nato a Giarre (CT) il 28-9-1979. Ha pubblicato (entrambe prefate da Mario Grasso) due sillogi di poesie in dialetto etneo: Afotismi, ed. Prova d'Autore (2009) e Jettu uci senza vuci, ed. Prova d'Autore (2012). È socio del Gruppo Letterario Convergenze con il quale svolge un’intensa attività culturale in tutta la Sicilia e vanta diverse pubblicazioni. Ha ottenuto diversi riconoscimenti a livello nazionale. Ha firmato, insieme ad Alessandro Canino e Rossano Eleuteri, le canzoni “L’amore è amore” e “Sarai”, presenti nell’album “Io” di Alessandro Canino, edizioni ROS group, distr. Self, uscito il 4 giugno 2013.



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