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Se Israele è vittima, i palestinesi sono i carnefici?

Fabio Polese intervista Angela Lano

 

(ASI) La situazione sulla Striscia di Gaza è al collasso. A distanza di due anni dalla criminale operazione denominata “Piombo Fuso” si registrano ancora continui attacchi da parte dell’aviazione israeliana che provoca morti e feriti tra la popolazione palestinese e il silenzio quasi totale dei media “civilizzati”. Il popolo di Gaza è composto da 1,5 milioni di abitanti e, 900,000 di questi, abitano nelle tendopoli dei Campi Profughi che sono gestiti dall’Onu e dalle associazioni di aiuto umanitarie internazionali. Il blocco delle importazioni e delle esportazioni sta soffocando Gaza, i dati parlano chiaro: il 93% delle industrie sono chiuse, oltre il 70% della forza lavoro disoccupata e l’88% della popolazione vive di aiuti sotto la soglia di povertà. Proprio per questo motivo, la “Freedom Flottila”, una spedizione internazionale composta da 700 persone provenienti da 36 diversi paesi aveva provato a rompere l’embargo. Questa spedizione, armata di 10.000 tonnellate di aiuti umanitari, viene crudelmente attaccata il 31 maggio del 2010 in acque internazionali dalla marina militare israeliana. Il risultato è tragico: 9 i morti e numerosi i feriti. Agenzia Stampa Italia ha contattato Angela Lano – Direttore responsabile dell’agenzia di stampa InfoPal.it e specializzata in islam e mondo arabo-islamico, ha collaborato con diverse testate giornalistiche nazionali ed estere ed è autrice di diversi libri – che era l’unica donna italiana presente nei terribili momenti dell’attacco alla “Freedom Flottila” per porgli qualche domanda.

Ogni giorno, grazie alla perseveranza dell’agenzia di stampa InfoPal.it, veniamo a conoscenza delle crudeltà che vive la popolazione della Striscia di Gaza. Come mai, tranne rare eccezioni, i mass media di massa non parlano di quello che succede in quei territori? Secondo lei, esistono davvero degli ingranaggi invisibili che manovrano l’informazione?

Non so se esistono ingranaggi invisibili. Certamente ne esistono di molti e visibili. I media italiani sono prevalentemente "embedded" con Israele, per ragioni politiche ed economiche. La Israel Lobby non è un'entità astratta e impalpabile: è concreta e ben radicata. E' un gruppo di potere, come altri nel mondo.  Israele è il baluardo e l'emblema di un sistema coloniale e imperialistico occidentale nato nell'Ottocento e sviluppatosi nel Novecento. Ora, questo sistema è in declino, in tutto il cosiddetto Occidente. Altre potenze e realtà geografiche, economiche e politiche stanno emergendo e presto cambierà anche la percezione di Israele. I nostri media sono fermamente ancorati a carrozzoni politici ed economici che fanno capo a quel vecchio modello di sviluppo, dunque non è nel loro interesse raccontare "verità altre". Raccontare delle ingiustizie e delle violenze inflitte quotidianamente, da 62 anni a questa parte, al popolo palestinese. Semplicemente, quando va bene, ignorano i fatti; quando va male, li manipolano in modo tale da far apparire Israele come vittima e i palestinesi come i carnefici. I media "mainstream" sono la grancassa del neo-liberismo in declino. Perché una dopo l'altra le democrazie latino-americane riconoscono lo "stato di Palestina"? Perché sono realtà libere, autonome dalla sfera di influenza statunitense e israeliana, e orientate, a livello geo-politico, verso altri mondi in fermento, crescita e sviluppo.

Nel suo sito personale scrive: “Nelle società mondiali del XXI secolo, il giornalismo è un arma” - e ancora, parafrasando Von Klausewitz - “Il giornalismo è la continuazione della guerra con altri mezzi”. Nulla di più vero.  Quali difficoltà ha trovato nella strada che ha intrapreso?

Innanzitutto, occupandosi di Palestina, non si fa carriera. La mia s'è interrotta tempo fa, quando, come giornalista specializzata in mondo arabo-islamico, non ho prestato la mia professionalità alla strategia islamofobica creata dai media su "input" spesso esterni all'Italia. Se si antepone la propria coscienza alle lusinghe, non si fa carriera. E sono contenta di non averla fatta, come è invece accaduto ad altri colleghi che sono passati sopra a fatti e verità sostanziale per costruirsi patrimoni personali. Almeno io posso guardarmi allo specchio senza vergognarmi. Sono contenta del lavoro che svolgo e per cui ho studiato tanti anni. E' un lavoro che è una passione e una missione umanitaria. A stare dalla parte delle vittime me l'hanno insegnato i libri di don Lorenzo Milani: è sempre stato il mio modello di impegno e coraggio.

E’ uscito, ad ottobre, il suo ultimo libro "Verso Gaza. In diretta dalla Freedom Flotilla" edito da EMI Editrice, che racconta i fatti accaduti con gli occhi di chi realmente, come lei, li ha vissuti. Immagino che i ricordi di quel 31 maggio siano indelebili. Ci può riassumere i sentimenti, i pensieri e i fatti di quell’angosciante vicenda?

L'attacco alla Freedom Flotilla è stato qualcosa di inaspettato, mostruosamente spettacolare: l'esibizione della consueta forza di uno stato de-umanizzato. Tutti noi, passeggeri della flotilla, ne conserviamo un ricordo netto, non cancellabile, ma proprio la brutalità dell'assalto e la sua illegalità ci rendono più determinati di prima a lavorare, chi in un campo chi nell'altro, alla costante denuncia degli atti israeliani contro il popolo palestinese. Quel che è successo alla FF è soltanto una parte delle aggressioni che da decenni subiscono i palestinesi. Pensiamo solo all'Operazione Piombo Fuso, di cui in queste settimane ricorre il secondo anniversario: 1500 morti, prevalentemente civili, migliaia e migliaia di feriti, famiglie sterminate, bambini resi disabili. Un'apocalisse al fosforo bianco (e a molto altro ancora) piombata su una striscia di terra sovrappopolata. E prima ancora, altri massacri, altri genocidi, criticati, condannati dalle istituzioni internazionali, ma rimasti sempre impuniti.

Quando partirà una nuova “Freedom Flotilla”?

La Coalizione internazionale della Freedom Flotilla sta lavorando a pieno ritmo per l'allestimento della seconda missione, che partirà tra marzo e maggio di quest'anno. Ci saranno una ventina di navi da tutto il mondo, e migliaia di passeggeri.

Il presidente statunitense Obama ha promesso al premier israeliano Netanyahu, in cambio di un congelamento provvisorio della costruzione di insediamenti di coloni in Cisgiordania, la fornitura ad Israele di armi, munizioni, ingegneria bellica e, soprattutto, altri 20 aerei da combattimento F-35 JSF dal valore di tre miliardi di dollari. In questo simile quadro, quale futuro attende il popolo palestinese?

Se dipendesse solo da Stati Uniti ed Europa, con il loro pieno sostegno a Israele, non ci sarebbe futuro per i palestinesi. Per fortuna, gli equilibri mondiali si stanno spostando verso altre aree del pianeta, che non sembrano così schierate a favore delle politiche di aggressione israeliane. Questo fa ben sperare.

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