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Unità d'Italia. Intervista a Eva Klotz, leader del Süd-Tiroler Freiheit

(ASI) Indubbiamente il centocinquantenario dell’unità d’Italia ha determinato un elemento di coesione tra i vari schieramenti politici, solitamente impegnati ad accapigliarsi anche per futili motivi: si tratta dell’unanime condanna nei confronti di coloro i quali hanno deciso di rifiutare le celebrazioni del 17 marzo. 

   Le espressioni politiche secessioniste del Sud Tirolo, in particolare il movimento Süd-Tiroler Freiheit, hanno subito un fuoco di fila mediatico dovuto alla loro ostinata resistenza all’epidemia patriottica che è stata strumentalmente propagata in tutto il paese per l’occasione. La questione è stata liquidata in modo rapido e molto comodo: citando le quantità di fondi che lo Stato italiano elargisce alla provincia autonoma di Bolzano, da stampa e politici i secessionisti sudtirolesi sono stati accusati di grave ingratitudine. Tuttavia, in pochi si sono adoperati per conoscere le ragioni del loro dissenso. Agenzia Stampa Italia - discostandosi dalla retorica patriottica a cui tutti i media, per convinzione o per comodità, si stanno attenendo - ha intervistato Eva Klotz, leader del Süd-Tiroler Freiheit, la cui tenacia ha fatto sì che assurgesse spesso alle cronache nazionali e che le venisse affibbiato il soprannome di “pasionaria” del Süd Tirol.

Onorevole Klotz, ci spieghi brevemente quali sono le ragioni storiche che giustificano il separatismo del Sud Tirolo dall’Italia e per le quali il suo movimento si batte…

Il Sud Tirolo è stato annesso dall’Italia a seguito di un patto segreto internazionale (il Trattato segreto di Londra) che prevedeva che, durante la I guerra mondiale, l’Italia cambiasse alleanza, passando con le forze dell‘Intesa, in cambio del cosiddetto “confine del Brennero”. Così, l’Italia si è trovata a cambiare, improvvisamente, schieramento e a muover guerra contro quelli che erano stati fino al giorno prima i suoi alleati: Austria e Germania. E’ in questo modo, quindi, come ricompensa per questo comportamento, che è stato annesso all’Italia il Sud Tirolo nel 1918, senza che se ne conoscesse il parere del suo popolo, senza che venisse effettuato alcun referendum, violando l’identità linguistica e culturale dei tirolesi. Noi oggi chiediamo che un referendum finalmente si faccia perché l’Italia ha ratificato i patti sui diritti umani dell’Onu, i quali prevedono, all’articolo 1, il diritto all’autodeterminazione dei popoli.

A dimostrazione del fatto che il senso d’appartenenza è storicamente radicato nel popolo della sua terra, possiamo avvalerci della figura poetica di Andreas Hofer, eroe tirolese del XIX secolo. Nel 1805 la Contea del Tirolo passò nelle mani dei bavaresi, alleati di quella Francia che, tramite le invasioni napoleoniche, intendeva imporre a tutta Europa una politica di secolarizzazione. In breve tempo decine di costumi e tradizioni locali furono abolite con leggi dichiaratamente repressive. Andreas Hofer guidò una strenue insorgenza a cui voi, suppongo, vi ispiriate…

Certo, perché Andreas Hofer è chiaramente uno dei personaggi storici più importanti del Tirolo e simbolo della nostra identità, ma non l’unico. Ce ne sono altri che potrei citare, un esempio su tutti è Michael Gaismair, che stilò gli “articoli meranesi”, nei quali propose riforme contadine ed ebbe intuizioni politiche che, al giorno d’oggi, potrebbero essere considerate moderne. Egli nacque nel 1490 e fu ucciso a Padova da aguzzini, dopo aver guidato rivolte contro la monarchia asburgica e l’egemonia della Chiesa. Hofer, Gaismair sono dunque personaggi che risiedono nelle nostre radici storiche e ai quali noi ci ispiriamo. Essi sono la testimonianza, inoltre, che mai il Tirolo ha effettuato guerre aggressive, bensì ha impugnato le armi solo per difendere la sua libertà. Nel XVII secolo venne fondata la compagnia degli Schützen, adibita esclusivamente come corpo militare difensivo del Tirolo, per proteggerlo dagli attacchi di eserciti stranieri e non per invadere le terre di altri popoli.

Per contribuire a compiere queste ambizioni di identità, che potremmo sintetizzare nel termine tedesco Heimat, lei decise di iniziare a spendersi personalmente con l’ingresso nella politica in un importante momento della sua vita; può dirci quale?

Le dirò prima di tutto cos'è davvero Heimat, la Patria, per me. E' la chiesetta, la collina, il torrente con i sassi, gli alberi del mio paese. E' un luogo spirituale, dove si conserva l'ideale che fu di mio padre. Ed è anche il luogo fisico, dove sorge la casa della mia famiglia, dove abitano i miei fratelli e sorelle. Per rivendicare tutto questo io mi batto. Già da bambina ho vissuto le conseguenze della lotta politica perché mio padre, Georg Klotz - che gli italiani chiamano terrorista, “martellatore della Val Passiria” - combatteva per la libertà della nostra terra e per l’unità tra i tirolesi. Qualcuno lo ha paragonato a Garibaldi, sostenendo che sia mio padre che Garibaldi erano patrioti; dunque, se mio padre era un terrorista, anche Garibaldi lo era. In verità era un patriota il quale, in un periodo storico in cui si erano esauriti tutti i mezzi democratici, non vedeva alternativa, per far conoscere la nostra causa al mondo, che quella di far saltare i tralicci con le bombe. Lui e i suoi compagni di lotta erano legati da un giuramento per cui mai avrebbero dovuto colpire le persone. Essi tennero fede a questo giuramento, mio padre non ha mai ucciso persone. Le dico, inoltre, che per loro sarebbe stato molto più facile, in termini pratici durante le loro azioni, effettuare stragi che non evitarne. Per cui ciò che io sento mi è stato trasmesso da mio padre, che è stato in esilio ed è morto a 56 anni. Dopo la sua morte ho deciso di dover continuare la sua lotta, portandola avanti però con mezzi pacifici e democratici, visto che l’Italia nel ’77 aveva ratificato i patti sui diritti umani dell’Onu di cui ho parlato prima e, finalmente, potevamo chiedere l’autodeterminazione. Rivendicazione che prima di quell’avvenimento comportava la pena dell’ergastolo. E’ proprio nel 1977 che aderisco all’Heimatbund (la Lega per la Patria), nel quale vi erano tutti gli ex detenuti politici sudtirolesi.

Inizia, appunto, la sua carriera aderendo all’Heimatbund, ma il suo percorso politico è contraddistinto, nel corso degli anni, da una serie di scelte che l’hanno portata, nel 2007, a fondare il Süd-Tiroler Freiheit. Può farcene un breve excursus e spiegarci le ragioni delle diverse scissioni?

Nel 1980 venni eletta membro del consiglio comunale di Bolzano, nel 1983 entrai invece nel consiglio provinciale. Rimasi tra le file dell’Heimatbund sino al 1989, quando decisi di aderire al progetto Union für Südtirol, che riunì altre due forze politiche e a cui aderì Alfons Benedikter, fuoriuscito dal Südtiroler Volkspartei. Benedikter decise di lasciare il suo partito (che era quello di maggioranza) perché rimproverava un tradimento dei principi nei quali egli credeva e per i quali aveva lottato (si consideri che diede un grande contributo all'applicazione dello Statuto di autonomia attraverso norme di attuazione, partecipando a circa 60 sessioni del Consiglio dei ministri a Roma). Insieme iniziammo, quindi, una nuova stagione politica nell’Union für Südtirol per rivendicare i principi dell’identità del Sud Tirolo, tuttavia successivamente cominciarono ad entrare e ad affermarsi nel partito persone intenzionate a deviare il nostro obiettivo principale e a coltivare interessi personali e basse logiche partitiche. Nel 2007 decidemmo allora di uscire in gruppo, lasciando a queste persone il nome e i soldi del vecchio partito che io avevo contribuito a fondare, e creammo il movimento Süd-Tiroler Freiheit. Oggi sono entusiasta di questo movimento: vi aderiscono tanti giovani, organizziamo importanti iniziative, siamo attivi anche nel Nord del Tirolo con mezzi legali, siamo membri dell’Alleanza Libera Europea (ALE), il quinto partito in Parlamento Europeo e che raggruppa tutti quei movimenti che rivendicano l’indipendenza per i popoli senza Stato.

Cosa chiede oggi il Süd-Tiroler Freiheit allo Stato Italiano?

Per prima cosa che si faccia il referendum per farci decidere liberamente il nostro avvenire, visto che si esalta tanto il valore della democrazia. Del resto, l’ex Presidente del Consiglio Francesco Cossiga aveva emanato una bozza di legge per l’autodeterminazione del Sud Tirolo, definita per altro giuridicamente ineccepibile dagli stessi giuristi che l’hanno letta.

Cosa sente di rispondere a chi in queste settimane ha sostenuto che i cospicui fondi che dalle casse dello Stato giungono alla provincia autonoma di Bolzano vi obbligherebbero a partecipare alle celebrazioni dei centocinquant’anni dall’unità d’Italia?

Anzitutto viene detto ingiustamente che il Sud Tirolo goda di autonomia, sarebbe più corretto parlare di atti di decentramento. L’autonomia vera attiene all’ambito fiscale, finanziario, di polizia, scolastico, amministrativo e migratorio. La cosiddetta provincia autonoma di Bolzano non possiede queste prerogative. Riguardo alla questione dei soldi, le dico che i fondi di cui si parla corrispondono al 90% delle tasse che pagano i contribuenti del Sud Tirolo allo Stato italiano, quindi si tratta di soldi nostri, mentre il restante 10% rimane nelle casse di Roma. La camera di commercio di Bolzano ha svolto un’analisi dalla quale emerge che il Sud Tirolo potrebbe vivere stabilmente anche senza appartenere a nessuno Stato; questo è dovuto all’operosità della nostra gente e di cui l’economia beneficia. Infine, il presidente provinciale Durnwalder non avrebbe alcun obbligo a partecipare alle celebrazioni dell’unità d’Italia anche perché nessun referendum - ribadisco - è stato mai fatto per chiedere al popolo che lui rappresenta, quello sudtirolese, se volesse far parte dell’Italia.

Spesso in Italia, forse anche a causa di speculazioni mediatiche, i vostri risentimenti contro lo Stato italiano sono stati travisati sotto forma di razzismo ed intolleranza verso il popolo italiano. Ci aiuti a sciogliere questo fastidioso equivoco…

Noi abbiamo piena tolleranza e rispetto per i sentimenti patriottici di tutti gli altri popoli, però vogliamo che lo stesso avvenga nei nostri riguardi. Non possiamo esser costretti a sentirci qualcosa che non siamo, facendoci imporre una cultura non nostra, perché questa è pura violenza. Se, per assurdo, Roma venisse invasa dai francesi e questi imponessero ai romani di cambiare i loro costumi sentendosi, dall’oggi al domani, anche loro francesi, i romani si ribellerebbero. Ripeto, pieno rispetto per gli italiani, ma l’identità è qualcosa di molto più profondo di una bandiera o di un inno imposti e, che piaccia o no, la nostra identità è quella tirolese e non possiamo cambiarla.

Qualche mese fa un manifesto del vostro partito ha destato scalpore. La Procura della Repubblica di Bolzano ha aperto un’inchiesta nei suoi confronti per vilipendio del tricolore. Qual è il contenuto del manifesto incriminato e come si difende da questa accusa?

In questo manifesto è raffigurata una scopa di saggina che spazza il tricolore italiano e sulla cui scia appare una striscia coi colori bianco e rosso del Sud Tirolo che lo sostituiscono. Per questo siamo stati querelati per vilipendio della bandiera italiana ma io credo che non si andrà molto avanti perché, altrimenti, quali provvedimenti dovrebbe prendere la magistratura contro di quei leghisti che il tricolore lo mettono nel water? Inoltre, la scopa di saggina nella tradizione tirolese è un simbolo che rappresenta la fine del carnevale perché idealmente spazza via questa festa. Perciò, attenendoci a questa nostra tradizione, non abbiamo voluto far nulla di offensivo, nessun accostamento tra tricolore e immondizie, bensì abbiamo voluto indicare un progetto di forte rinnovamento politico.

Per concludere, ritiene che esistano ad oggi, in tempi di omologazione culturale che diffonde indifferenza e disfattismo, i margini per poter propiziare il sogno di un’Europa dei popoli?

All’interno dell’ALE lavoriamo per costruire un’altra tipologia d’Europa. L’Unione Europea, che è una comunità di Stati nazionali, non risponde alle vere esigenze dei popoli, i quali vorrebbero determinarsi in un continente in cui vi sia pluralità di lingue e di culture. L’aggregazione deve rispondere ad un atto volontario, ad un’identità e non alla costrizione. Io sono convinta che, così come il nazionalismo colonialista è venuto meno e così come sta venendo meno l’imperialismo, anche il sistema di queste democrazie sia destinato a morire perché è ormai contraddistinto soltanto da corruzione e da interessi personali. Le nuove generazioni costruiranno un’Europa nuova fatta di libertà per i diversi popoli che la compongono, capiranno che la differenza è una ricchezza antica da salvaguardare. Del resto, se oggi la situazione non sembra positiva, non c’è da temere: nella storia le idee sono state portate avanti sempre da poche persone che, solo con il passare del tempo, le hanno sapute fare accogliere alle masse. Il crollo del muro di Berlino ha dimostrato che in politica può succedere di tutto e improvvisamente.

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