Omelia domenica di Pasqua del card. Gualtiero Bassetti.

(ASI) Perugia - «Entrate nel sepolcro di Gesù! Non troverete il Risorto in carne ed ossa, ma troverete i segni luminosi della sua vita:  la comunità cristiana, la Parola del Vangelo, l’Eucaristia, la carità. Troverete tanti fratelli che hanno bisogno di voi»

 

Fratelli e Sorelle,
oggi celebriamo la Pasqua di risurrezione. Ma cosa significano queste due parole per voi, fratelli, che così numerosi, affollate la nostra cattedrale? Sono due parole inscindibili, perché non può esserci risurrezione senza passaggio, senza cambiamento, senza la ferma volontà di ritornare a Dio, perché, Pasqua significa appunto questo ritorno.

Maria di Magdala, come ci ha raccontato l’evangelista Giovanni, di buon mattino, quando era ancora buio, si è recata al sepolcro e ha visto che la pietra del sepolcro era stata ribaltata, allora è corsa da Simon Pietro e gli ha detto: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!”. Un’esperienza triste e piena di angoscia. Allora, anche Pietro e Giovanni corsero al sepolcro. Entrò Pietro per primo e osservò che i teli  che fasciavano il corpo di Gesù e il sudario, che era stato posto sotto il suo capo, erano là. Pietro “vide e credette” e insieme a Giovanni compresero le scritture secondo le quali Gesù doveva risorgere dai morti.  Ma essi non sarebbero entrati nel sepolcro, se non fossero stati attratti da Lui, il Risorto.

Fratelli e sorelle, il Risorto attrae anche noi, portandoci stamane nella nostra cattedrale, e noi ci siamo lasciati umilmente condurre. Gesù l’aveva detto poco prima di morire: “Quando sarò innalzato, attirerò tutti a me!”. Mi colpisce quel verbo attirare, perché, purtroppo, per tanti cristiani la Pasqua è divenuta soltanto una tradizione… Un giorno certamente diverso dagli altri, caro alla memoria, ricco di tanti ricordi dell’infanzia, suggestivo nella sua liturgia, soprattutto per chi avesse partecipato alla veglia notturna… ma poi tutto ritorna come prima. Si corre il rischio di sfiorare una realtà stupenda, così significativa per la nostra vita, ma senza comprenderla e viverla. Una festa che finisce alla svelta, un fuoco che è arso per poco tempo, nel cuore della notte. La suggestione di qualche canto e tanta luce. Ma, finita la festa, cosa rimarrà nella nostra vita, cosa cambierà nelle nostre abitudini, quale passaggio (Pasqua significa passaggio) ci sarà per noi? Eppure Pasqua è passaggio, cambiamento vita nuova, perché Lui è risorto e noi siamo risorti con Lui.

San Paolo nella lettera ai Corinzi ci ha detto con forza: “Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato. Celebriamo la festa non con il lievito vecchio, che è fatto di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e verità”. Non potremo fare Pasqua e quindi giungere a vera risurrezione, senza questo passaggio, questo cambiamento, senza la sincera volontà di “rivestirci del Cristo risorto”, senza lasciarci attrarre da Lui.

In questo cammino verso il fascino del Risorto imitiamo Maria di Magdala che corre ad avvertire san Pietro che il sepolcro è vuoto. Pietro e Giovanni corrono. Corrono per verificare cosa sia successo. Anche noi, spiritualmente vogliamo correre. Correre ed entrare! Chi corre ha una passione nel cuore. Chi corre è perché ama e chi ama non sta seduto sulla propria mediocrità, non si accontenta di quello che è. Chi ama cerca col desiderio di trovare e, dopo aver trovato, ha il desiderio di cercare ancora. Chi sta comodamente seduto nella soddisfazione di se stesso, rischia di rimanere a mani vuote. “Pietro entrò nel sepolcro, vide e credette!”. “Signore, donaci un cuore insaziabile nel cercarti”. Diceva sant’Agostino.

Fratelli, io vi chiedo: per amor di Dio - Papa Francesco dice ‘per favore’ -, entrate nel sepolcro di Gesù! Non troverete il Risorto in carne ed ossa, ma troverete i segni luminosi della sua vita: la comunità cristiana, la Parola del Vangelo, l’Eucaristia, la carità. Troverete tanti fratelli che hanno bisogno di voi. Papa Francesco ha detto: “Molte persone hanno disdegnato di avvicinarsi alla carne dei loro fratelli e sono passate oltre come il levita e il sacerdote della parabola. Altre si sono avvicinate - continua Francesco - ma in modo sbagliato: hanno socializzato il dolore, rifugiandosi in luoghi comuni (la vita è fatta così) o hanno posato lo sguardo solo su alcuni, in maniera selettiva, oppure si sono schierati nelle file di coloro che adornano la loro vita di frivolezze per dimenticarsi della sofferenza. Avvicinarsi alla carne sofferente significa invece aprire il cuore, mettere il dito nella piaga, portare sulle spalle il ferito, pagare due denari (come la parabola del samaritano) e alla fine farsi carico di tutte le spese. Noi - conclude il Papa - saremo giudicati secondo quanto saremo stati capaci di seguire questo modello. Dobbiamo lasciare entrare nella nostra vita modi di pensare, di sentire e di procedere diversi da quelli a cui il mondo ci ha abituato: amare la giustizia, con la sete di chi cammina nel deserto; preferire la ricchezza della povertà, alla miseria a cui conduce il benessere mondano; aprire il cuore alla tenerezza, anziché addestralo alla prepotenza; cercare la pace, più forte di ogni pacifismo; avere nei confronti di tutti uno sguardo limpido, che proviene da un cuore altrettanto puro, evitando di cadere nell’avida accumulazione dei beni”.

Cari fratelli e sorelle, queste sono le parole di colui che lo Spirito Santo ha messo a guidare la Chiesa. Tutto questo ci suggerisce il Risorto. Accogliamo questo pressante invito con gioia. La medicina è sempre dura a digerirsi, ma poi, fa bene!

Ma torniamo, fratelli, al lieto annuncio dell’angelo: “Cristo è risorto!”, non giace più nella tomba: ora la sua Pasqua è affidata a noi, perché tutti gli uomini e le donne, anche per la nostra gioiosa testimonianza, possano cantare e celebrare la vita e la gloria di Dio. Amen. Alleluia!

 
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